Il Pratyāhāra vuole aiutarci ad estirpare i condizionamenti da cui è gravata la nostra mente di superficie (o coscienza ordinaria).

Pratyāhāra è contro alimentazione dei pensieri automatici che vorticano nella nostra mente.

Con Antar Mouna (Silenzio Interiore), in tutta sicurezza inizieremo a liberarci del personaggio che il mondo esterno ci ha fatto diventare.

Il silenzio interiore sarebbe pericoloso nella misura in cui, tolto tutto quello che ci ha stratificati, ci ritrovassimo senza struttura, che per quanto sbagliata era comunque un punto di appoggio.

Procedere senza rete ad affrontare tecniche per il raggiungimento di silenzio interiore ci espone dunque al rischio di trovarci in uno stato di vuoto, di dispersione, di angoscia che chiamiamo laya

Antar Mouna con suoi 5 livelli ci fa fare un percorso consequenziale sicuro, ma solo se abbiamo correttamente ed assiduamente praticato gli altri 4 livelli dell’Ashtanga Yoga di Patanjali.

Il primo passo. L’osservazione.

Capita di voler ricordare qualcosa che sfugge ed istintivamente per concentrarci portiamo pollice e l’indice al centro delle sopracciglia.
Ecco quello è il punto dove si localizza la nostra coscienza.
Quello spazio frontale dove noi ci focalizziamo quando pensiamo a qualcosa è lo schermo ove proiettiamo i nostri contenuti e si chiama Chidakasha.

In questa prima fase, semplicemente prendiamo atto di questo luogo.

Il secondo passo

Nella seconda fase, come facciamo per asana che deve essere stabile e confortevole, dobbiamo mettere la coscienza a suo agio. Lasciamo andare

In quello spazio che abbiamo individuato nella prima fase Chidakasha, allentiamo volontariamente tutto ciò che è stato stretto nella mente. Poniamo la mente in uno stato di profondo relax simile alla fase ipnagogica, quella che precede l’addormentamento, e lasciamo emergere senza intervenire i contenuti che sono nella nostra coscienza.
In questa fase le immagini che arriveranno non devono essere ne accettate ne respinte, devono passare, le dobbiamo lasciare libere di fluire senza prenderne alcuna, senza elaborarne alcuna. Libere di fluire come il paesaggio dal finestrino di un treno in corsa, che arriva, passa e se ne va.

All’inizio può non arrivare nulla, ma se ci fidiamo, se ci lasciamo andare qualcosa arriva. Qualsiasi essa sia, non la giudichiamo. Se la giudichiamo essa può fuggire via. 

Questo processo è bellissimo perché ci permette di conoscerete i contenuti della nostra mente cosa che in condizione di coscienza ordinaria non riusciamo a fare tanto siamo distratti e sommersi da pensieri.

Questo è svadhyaya, lo studio di se, iniziamo a vedere cosa c’è in noi.

Terza fase

Questo è un gradino dove invece interveniamo noi, forniamo alla mente un’esca, le diamo qualcosa di cui vogliamo che si occupi.  Un ricordo doloroso, una emozione forte, un trauma.
Questo riportare la mente a rivivere quel momento di dolore può essere anche accompagnato da lacrime, da un nodo in gola, da palpitazioni. E’ un momento di repulsione per la mente, quello che si chiama dvesa. I sensi si riattivano e rivivono ciò che hanno vissuto in quel momento. Per esempio dolore.

In ogni ricordo c’è un po’ della nostra energia vitale, non a caso un assioma dello Yoga dice: l’energia (prana) va dove va il pensieroe se il pensiero va ad emozioni dolorose, l’energia andrà li, ma se dolori, rancori, paure, non abbandonano i nostri pensieri parte della nostra energia sarà sempre costretta a rimanere li.
Quante di queste vrtti ci sono dentro di noi?
Immaginiamo quanta energia vitale è imprigionata a nutrire qualcosa che non ci serve più…

Molte persone non sanno che la loro sensazione di eterna stanchezza è dovuta al fatto che sono rancorose, piene di ricordi, piene di fantasmi. Alla luce di quanto detto, immaginiamo quanto Prana possa essere sottratto alle riserve energetiche del corpo.

Mai sentito parlare di psico-somatica?

Andare a togliere nutrimento a a quei fantasmi significa tanto per cominciare portare salute perché si libera la psiche di fardelli dei condizionamenti e si attivano le potenzialità del libero pensare riuscendo ad incontrare chi siamo realmente su un piano coscienziale superiore.

Per fare questo dobbiamo diventare spettatori dell’evento e purificarlo da tutte le connotazioni dolorose che esso contiene;
osservare l’evento e vedere che è altro da noi, è solo un evento di cui siamo stati parte in un passato che non esiste più e che dunque non siamo noi. Noi siamo qui, ora.

Se lo osserviamo come testimoni, impariamo a distaccarlo da noi. Entreremo nel nostro momento presente e tutta l’energia che avremo liberato potrà tornare a servire noi, non i ricordi (smrti, la memoria, falsa conoscenza). 

Quando saremo riusciti a fare questo saremo pronti per il successivo passo.

Quarta fase

Qui il lavoro è simile ma più difficile perché ci misureremo con degli eventi positivi, daremo alla coscienza qualcosa di attraente. Eserciteremo raga.

Patanjali mette in guardia da queste tentazioni più sottili, perché la coscienza, che si è svincolata dalle cose negative, non rimanga imprigionata da quelle positive. E’ tutto un gioco di asmita, l’identificazione, che vuole riportarci ad un riferimento.
La mente non può stare senza riferimenti.

Ovviamente un riferimento piacevole è quanto di meglio su cui indugiare. Il nostro lavoro sarà quello di liquidare anche quelli. Ne diventiamo spettatori e li lasciamo andare. Il discorso infatti è identico a quello fatto per i ricordi negativi.

Quinta fase.

Fatto tutto ciò siamo in grado di prendere consapevolezza che intorno a noi è pieno di pensieri inutili che vogliono vivere, premono per entrare, chiedono continuamente nutrimento.
Ma ora li vediamo, prima erano puro e semplice frastuono, rumore, inconscio. Ora ne siamo consapevoli.

Ora sappiamo che ci sono, possiamo guardarli. Essi esistono in una coscienza periferica, come quando osservo un oggetto e mi rendo conto che tutto intorno c’è dell’altro. 

Antar Mouna – Un sogno lucido

Diciamo che il lavoro che facciamo con Antar Mouna è quello di un sogno lucido. I sogni del normale stato di coscienza ordinaria, rispecchieranno proprio questo loro livello.

Durante la veglia, passano nella mente centinaia di migliaia di pensieri disordinati, oltre a quelli legati ad una situazione.
Si può notare che per esempio se sto guidando non penserò solo a ciò che attiene alla guida ma contemporaneamente arriveranno pensieri sulla situazione che mi attende, la vita privata di chi incontrerò,  cosa ho fatto ieri sera, il tutto senza una logica, una vagonata di pensieri e nessi inconsci, che se li potessimo spacchettare e vedere scritti su un foglio ci farebbero dire che abbiamo a che fare con la mente di un folle puro. Invece no! Quello è lo stato mentale che accompagna tutti noi cosiddetti sani.

In fase di sonno, quando le impressioni sensoriali sono spente, la mente può andare a ruota libera perché perde i collegamenti con i sensi.
Quegli stessi pensieri che di giorno erano in qualche modo connessi, dalle azioni che stavamo facendo, di notte non hanno alcun collegamento. Quindi si manifestano e basta. Ecco perché i sogni non hanno apparentemente senso. Essi tirano fuori a ruota libera tutto il mentale indisciplinato che abbiamo dentro. Sia quello conscio che quello inconscio o subconscio.

Come mai si dice a qualcuno di osservare i suoi sogni per capire il suo stato d’animo o psichico? Perché in quello stato coscienziale che è il sogno, non essendoci i dati sensoriali a mascherare i pensieri, possono venire fuori in libertà.

Durante la veglia, non è vero che l’inconscio ed il sub conscio non esistono, semplicemente essendo più in ombra, non li vediamo con quella coscienza che invece vede i pensieri ordinari legati alle percezioni sensoriali.
Ma i “pensieri inconsci” ci sono eccome e di loro possiamo vedere la materializzazione tramite il frutto dell’azione.
Questi frutti sono gli schemi mentali, i condizionamenti, i filtri, il carattere, il fare le cose in un certo modo e non in un altro.

Questo mazzetto genererà la nostra azione, che noi crediamo cosciente e libera, in realtà non è niente altro che scontata, ovvia, prevedibile perché gli schemi sono sempre gli stessi.

Questo lo Yoga lo sa benissimo ed è per questo che lavora a scardinare i condizionamenti.
Le asana, così particolari non fanno altro che decondizionare il corpo dalle sue posture ordinarie. Non a caso le posture scorrette sono collegate ai vissuti

Pensiamo alla osteopatia[1], o al metodo Feldenkrais basato su una stretta integrazione tra movimenti, sensazioni, sentimenti e pensiero che ha come fine il funzionamento efficiente del corpo umano. Pensiamo agli atteggiamenti corporei degli adolescenti che sono spesso chiusi come è chiuso il loro mondo. Osserviamo al semaforo le posture dei passanti e vedremo quasi sempre capo e dorso protesi in avanti su volti tesi ed angosciati.

Il Pratyāhāra insegna in primo luogo a 
scollegare i pensieri dai sensi come accade nella fase di sogno,
poi guardare quei pensieri sorvolare la nostra mente, individuarli, impedirgli di passare inosservati come avviene durante la veglia.
Ed infine esserne coscienti. Impedirgli di stare in agguato.

Pratyahara ci insegna Vairagya, il distacco da essi. 

Quando saremo riusciti a metterli sullo sfondo e tenerli a bada la mente si sentirà spaesata.

In quello spazio che abbiamo liberato allora vorranno affiorare varie altri fantasmi quelli più pericolosi, quelli dell’inconscio.
Quelli che non sappiamo guardare, non possiamo guardare perché troppo dolorosi, sono quelle cose che i nostri sistemi di protezione ci hanno occultato.

Questa è una prova difficile e non avere alcuna struttura di sostegno potrebbe rivelarsi molto pericoloso.
Meglio allora non provare proprio a misurarsi con una esperienza del genere se non si possiede una rete di sicurezza, come può essere lo Yoga.

Meglio, se ne percepiamo il bisogno, rivolgersi ad uno psicologo.

Ma abbiamo detto che la psicologia finisce dove inizia lo Yoga.
Ed è vero.
Lo Yoga ci permette di lavorare con le nostre mani, la psicologia tradizionale usa mani altrui che non è detto siano capaci di occuparsi di noi e proprio di noi, per quanto esperte e preparate possano essere.

Tuttavia dobbiamo sapere cosa stiamo facendo; dobbiamo essere seguiti da un maestro esperto.


[1]L’individuo è visto nella sua globalità come un sistema composto da muscoli, strutture scheletriche ed organi interni che trovano il loro collegamento nei centri nervosi della colonna vertebrale. Ogni parte costituente la persona (psiche inclusa) e l’ambiente in cui essa vive è dipendente dalle altre e il corretto funzionamento di ognuna assicura quello dell’intera struttura: dunque, il benessere. Tratto da Istituto Superiore Osteopatia

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