Insieme con il mio Yoga, scorre nella mia vita l’Antroposofia.
Spesso chi percorre una via esclude (anche con fastidio) l’altra.
Spesso però chi percorre la via dello Yoga, non conosce quella dell’Antroposofia e viceversa.
Ed ancora spesso entrambi, pur parlando di liberazione dal pregiudizio e dal preconcetto, applicano esattamente questo metro per osservare le cose.
Dovrebbero essere vie di Conoscenza Spirituale entrambe. Anzi lo sono.
Ed esiste strumento migliore della conoscenza per giungere sempre più vicini alla verità?
No, non esiste. Qualsiasi altro mezzo non ha le potenzialità della conoscenza, anzi, qualsiasi altro mezzo è puro effimero.
Essendo vie di conoscenza dello Spirito senza dogmi, perché mai allora escludere una o l’altra?
La conoscenza è tanto per cominciare la scoperta di punti di vista diversi dal nostro. E’ l’accogliere l’elaborazione delle cose fatta da qualcun altro. E’ la possibilità di mettere insieme i vari punti di vista e tirare dei fili di unione.
Le vie di indagine dell’Uomo insegnano però che per conoscere è necessario porsi davanti al conoscibile, liberi da condizionamenti.
Quanti di noi possono dire di muoversi nella propria vita liberi da condizionamenti?
Qualcuno saltando sulla sedia potrebbe dire: ah no, io non sono condizionato da nulla, io penso con la mia testa!
Sicuro?
I nostri condizionamenti iniziano già dal pre-natale, dalle abitudini di nostra madre, da ciò che mangerà, dall’aria che respirerà, dal suo umore e dalle sue relazioni.
Il nostro primo respiro sarà poi il nostro primo condizionamento fuori dal ventre materno. Dove avverrà? Ospedale, casa, luogo di fortuna? E dalle mani di chi verrà toccato per la prima volta il nostro corpo? E come sarà questo tocco? Che odori sentiremo, che temperatura, che colori, che suoni percepiremo?
Tutto questo è solo l’inizio dell’imprinting dell’esterno su di noi.
Dopo arriveranno i condizionamenti portati dalla nostra mamma, tutto il suo vissuto. Come si allatta? Come si veste un bambino? Lei è chioccia, hippie, gitana o carrierista? Ecco questo suo vissuto lavorerà su di noi. In base a questo deciderà su come allattarci, come vestirci, che parole usare con noi, che luoghi farci frequentare, la culla, la stanzetta…
E questa è solo la mamma nei primi giorni di vita; vogliamo aggiungere anche la figura del papà?
Ed i nonni? Gli amici? Il marketing? Le baby sitter, le maestrine, gli amichetti, il cibo, i giochi.
E siamo ancora ai primi anni. Possiamo immaginare dunque quante spinte esterne arriveranno a subissare la nostra coscienza di “devo”?
Tutto si muove dentro una rete, una intricata maglia di rapporti dei quali nessuno conosce l’inizio, eppure questa rete determina la nostra vita, le nostre scelte in maniera totale.
O almeno lo fa fino a che non ce ne accorgiamo. Possiamo accorgercene chiaramente o possiamo sentirne gli effetti. Raramente ci accorgiamo chiaramente di essere succubi della matassa. Normalmente viviamo un senso di inadeguatezza, un senso di incompiutezza, un senso di smarrimento generalmente incomprensibili nelle loro cause genitrici. Li portiamo a spasso con noi ogni giorno, a volte per tutta la vita. Altre volte invece una voce dentro di noi un bel giorno ci dice: basta. Qui c’è qualcosa che non va. Questo basta è la molla che ci spinge nella ricerca dell’origine di questo vago sentimento di incompiutezza.
Se abbiamo la “fortuna” di incontrare una via che possa condurci a capire questi meccanismi, potremmo aver incontrato lo Yoga o l’Antroposofia, ma anche la loro sorella minore, la Psicoanalisi.
Cosa fa la psicoanalisi?  ci aiuta ad entrare nelle reazioni del nostro vissuto. Un osservatore esterno esamina come la nostra psiche si comporta di fronte a ciò che accade. Ciascuno ha il suo modo di porsi davanti alle cose.
Perché?
Perché ciascuno di noi percepisce ciò che accade in maniera esclusiva; di fronte ad uno stesso avvenimento accaduto davanti a 10 persone avremo 10 diverse percezioni dell’accaduto. Da cosa dipende questo? Dai nostri condizionamenti. Da quelli di cui si parlava poc’anzi. Tutto quello cioè che abbiamo vissuto dal pre-natale in poi. Tutti filtri colorati che passano davanti ad ogni episodio della nostra vita andando a comporre il colore con il quale lo vedremo, un colore unico, solo nostro, ma questo colore solo nostro, non è però realmente ‘il’ nostro. perché per essere ‘il’ nostro non dovrebbe avere nessun colore, dovrebbe non vedersi passare davanti nessun filtro. Questa sarebbe la auspicabile visone oggettiva delle cose. Come ottenere una visione oggettiva delle cose? Andando a rimuovere i filtri. Questo fa lo psicologo, rimuove i filtri per noi, guarda la nostra vita senza gli occhi dei nostri condizionamenti.
Ma lo psicologo pur essendo all’inizio una benedizione, rischia di diventare una dipendenza; ci siamo mai domandati perché?
Perché mai una terapia con lui dura spesso decenni? Perché è come un genitore con un bimbo piccolo. Fa tutto lui.
Lui analizza per noi quanto accaduto e con il distacco di un osservatore imparziale e la conoscenza dei meccanismi del mentale, riesce a trovare il senso di quanto ci accade, di quanto facciamo o di quanto desideriamo e ci mette nella condizione di apportare i giusti correttivi. Col tempo, seduta dopo seduta, chi riesce a comprendere, ad entrare nei meccanismi della propria psiche come fa il terapeuta davanti a noi, sicuramente giunge a  rallentare gli incontri fino a “liberarsene” Chi invece si lascia portare da lui e continua comodamente a demandare a lui l’analisi delle situazioni deviate della propria vita, non ne verrà mai fuori.
Normalmente è il secondo caso quello che prevale.
Cosa fanno lo Yoga e l’Antroposofia? Ti fanno fare un percorso sulle tue gambe per arrivare a diventare tu quell’osservatore oggettivo. E come fanno? Ti portano a riconoscere i tuoi condizionamenti. Questi condizionamenti l’antroposofia li chiama “astrale”, lo yoga “vrtti”.

Ma di questo ne parleremo in un’altra sede. Rimanete collegati…

Christina

Scritto da Christina Russo (proprietà intellettuale riservata)

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