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In cosa consiste una seduta di Yoga tradizionale?

Una seduta di yoga comincia sempre con un approccio semplice e rispettoso verso il corpo. Si prendono le prime posture fisiche (asana) di riscaldamento, le più elementari e fisiologiche. Non c’è sforzo, non c’è competizione – né con se stessi, né con gli altri allievi. Ogni posizione viene adattata alla possibilità del singolo, con l’intento di trovarvi comodità e stabilità.

Una volta stabilita la postura, si porta l’attenzione al respiro. Lo si osserva, lo si ascolta, si impara a guidarlo dolcemente, ad ampliarlo e a indirizzarlo verso le zone del corpo che più ne hanno bisogno. In questo modo il respiro, che normalmente scorre in modo automatico, diventa uno strumento di consapevolezza. Scopriamo che quando respiro e postura si armonizzano, la mente comincia naturalmente a calmarsi e a concentrarsi.

Per molti allievi questo è un momento di vera scoperta: ci si accorge che il corpo non è solo un insieme di muscoli e ossa, ma un luogo di ascolto interiore, una porta che permette di entrare in contatto con se stessi in modo nuovo.

Questa esperienza, apparentemente semplice, è già una realizzazione concreta di ciò che Patanjali descrisse nel suo Yoga Sutra. Secondo Patanjali, il percorso dello Yoga si articola in otto stadi (Ashtanga Yoga), che non sono solo una sequenza tecnica, ma un cammino graduale verso la libertà interiore:

  1. Yama – l’atteggiamento etico verso il mondo esterno, come la non violenza, la sincerità, il rispetto.
  2. Niyama – la disciplina interiore, la cura di sé, la purezza, la capacità di introspezione.
  3. Asana – le posture, che servono a rendere il corpo saldo e disponibile, privo di tensioni superflue.
  4. Pranayama – il respiro cosciente, che armonizza l’energia vitale e prepara la mente alla calma.
  5. Pratyahara – il ritiro dei sensi, ossia la capacità di non essere continuamente trascinati dagli stimoli esterni.
  6. Dharana – la concentrazione, l’arte di dirigere la mente in modo stabile.
  7. Dhyana – la meditazione, uno stato più ampio di continuità e profondità della coscienza.
  8. Samadhi – l’unione, l’esperienza della libertà interiore e della pienezza dell’essere.

Durante una seduta tocchiamo in forma essenziale diversi di questi stadi. Gli asana sono il punto di partenza: non posture estetiche, ma posizioni che ci insegnano la calma, la presenza, l’ascolto.
Con il respiro entriamo nel pranayama, imparando a governare in modo naturale l’energia che scorre in noi. Quando ci accorgiamo che la mente diventa più raccolta e meno dispersa, stiamo già sperimentando i primi passi di pratyahara: ci sottraiamo, anche solo per qualche istante, al continuo richiamo dei sensi e degli stimoli esterni.

Poco alla volta, questa quiete conduce alla concentrazione (dharana): la mente non vaga più senza meta, ma comincia a sostare, ad ancorarsi in un punto.
Da qui si apre lo spazio della meditazione (dhyana), che non è qualcosa di forzato, ma un fluire naturale dell’attenzione verso l’interno.

Tutto questo ha un effetto trasformante anche nella vita quotidiana. Ci accorgiamo che spesso le nostre non sono azioni libere, ma reazioni automatiche agli eventi e agli stimoli intorno a noi. Questa meccanicità non è libertà. Lo yoga, come lo intende Patanjali, è invece un cammino per riconoscere e sciogliere questi automatismi.

Seduta dopo seduta, con pazienza e continuità, diventiamo più presenti a noi stessi, più coscienti del nostro corpo, del nostro respiro, dei nostri pensieri. Non si tratta solo di rilassarsi o di fare esercizio fisico, ma di coltivare un’attenzione nuova, che ci restituisce alla nostra vita con maggiore lucidità, equilibrio e libertà interiore.

La pratica si conclude sempre con un momento di rilassamento e integrazione: il corpo viene lasciato riposare in una posizione neutra, il respiro si fa spontaneo, e la mente ha modo di assimilare ciò che ha sperimentato. Questo momento, chiamato Shavasana, è come un seme che germoglia silenziosamente, portando nel tempo benefici sottili ma profondi.

Così, senza fretta e senza forzature, percorriamo in modo naturale le tappe indicate da Patanjali, scoprendo che lo Yoga non è qualcosa che si aggiunge dall’esterno, ma una via per ritornare a ciò che siamo davvero.

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