Poiché la maggior parte di noi non è in grado di accedere subito allo stato di coscienza del Samadhi, Maharishi Patanjali ha indicato un punto di partenza più semplice e alla portata di tutti: i controlli.
Spesso vengono trascurati perché sembrano cose banali, “che sappiamo già”. Ma in realtà sono la chiave per imparare a governare le percezioni sensoriali, e quindi le rappresentazioni mentali che da esse derivano.
Perché è importante?
Perché i pensieri sono sempre collegati a ciò che percepiamo. Se le percezioni sensoriali sono confuse, inconsapevoli e incontrollate, anche la mente rimarrà confusa e agitata. Al contrario, se impariamo a osservare e regolare con consapevolezza ciò che percepiamo, anche i pensieri che nascono da quelle percezioni diventano chiari e governabili.
Non soffermarsi su questo primo passo significa praticare uno Yoga che non porterà mai allo stato di Yoga. Sarebbe come costruire una casa senza fondamenta: potrà sembrare bella all’esterno, ma non reggerà alla prima scossa.
Perché “controlli” e non “osservanze”
Questi principi vengono spesso chiamati “osservanze” o “astinenze”, ma queste parole possono far pensare a un’adesione passiva, quasi dogmatica. Patanjali invece propone un lavoro attivo, consapevole.
Per questo è più corretto parlare di controlli:
- controllo della mente,
- controllo delle percezioni,
- controllo delle reazioni.
Non è un’imposizione esterna, ma un processo interiore di autodisciplina lucida, che prepara il terreno per il vero Yoga.
I dieci controlli
Questi controlli sono in tutto dieci, suddivisi in due gruppi:
- cinque rivolti verso l’esterno (Yama),
- cinque rivolti verso se stessi (Niyama).
Non sono concetti astratti: si realizzano attraverso esercizi concreti, attraverso piccole azioni quotidiane che addestrano la mente e i sensi alla consapevolezza.
Solo dopo averli compresi e vissuti si potrà costruire un cammino stabile verso stati di coscienza più alti.