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La colonna vertebrale è il nostro asse segreto, il filo che tesse la relazione tra la terra che ci sostiene e il cielo che ci chiama. È una scala invisibile, formata da trentatré gradini viventi, che custodiscono la linfa del movimento e della sensibilità. Intorno a questa struttura, muscoli, legamenti e tendini si intrecciano come radici e rami di un albero, proteggendo il midollo spinale, quella sottile corrente in cui scorre l’allegria della vita.

Quando questa colonna, nata per essere flessibile e armoniosa, si torce, è come se la storia del corpo volesse raccontare qualcosa che non trova parole. Non è solo una deformità che appartiene all’osso: è un segno che proviene da più lontano. È la testimonianza di un equilibrio perduto, di una tensione che nasce nel profondo.

La scoliosi appare spesso nell’età in cui l’essere umano si prepara a crescere verso l’alto. È come se il bambino, non trovando un sostegno saldo intorno a sé, fosse costretto a cercare un appoggio altrove, deviando dal suo centro. Talvolta, nel silenzio della sua crescita, si fa carico di pesi che non gli appartengono: responsabilità, aspettative, conflitti che provengono dal mondo degli adulti.
Altre volte, questa torsione è la traccia di una lotta di potere tra il padre e la madre, o tra le correnti opposte dei lignaggi familiari.
È il corpo stesso che diventa teatro di forze invisibili, e nel suo silenzio cerca di bilanciare ciò che fuori non trova armonia.

Quando un bambino sente che gli adulti non camminano accanto a lui, può scegliere inconsciamente di fermarsi. Decide di non crescere, di restare nell’infanzia, come se volesse sospendere il tempo. Invece di slanciarsi verso il futuro, piega la sua linea vitale, come un germoglio che si avvita su sé stesso per non incontrare la luce. Il medico parlerà di scoliosi, ma il corpo starà dicendo: “Mi sono allontanato dal centro, perché il centro che mi era stato offerto non era stabile.”

E quando questa deviazione accompagna l’essere umano fino all’età adulta, diventa una postura interiore. Chi porta una scoliosi nell’anima spesso non si sente abbastanza saldo per scegliere.
Teme di inclinarsi troppo, di non reggere il peso delle proprie decisioni. Così la vita diventa un continuo oscillare tra un lato e l’altro, come se la strada maestra fosse sempre velata da deviazioni.

Ma la scoliosi non è solo una ferita.
È anche un invito. Invita a ritrovare il centro non come rigidità imposta, ma come atto di ascolto profondo. Raddrizzare la schiena non significa forzarla, ma permetterle di tornare a danzare tra stabilità e movimento. È un percorso che non riguarda solo il corpo: chiede di ritrovare la fiducia, di guardare le proprie paure, di lasciare cadere ciò che non è più nostro da portare.

Il corpo non mente mai. Quando la colonna si torce, ci chiede di rallentare, di chiederci quale parte della nostra vita abbiamo negato, quale polo interiore abbiamo escluso. Ci domanda perché abbiamo smesso di crescere verso la luce, cosa ci ha fatto perdere il coraggio, quale peso abbiamo accettato senza davvero volerlo.

Il cammino di guarigione non è una via dritta. È piuttosto un ritorno al centro attraverso strade tortuose, come se l’anima dovesse imparare a muoversi con la stessa flessibilità che il corpo reclama.
La scoliosi diventa così un messaggio: ci ricorda che possiamo tornare eretti solo quando ci radichiamo davvero nella nostra verità, quando smettiamo di fuggire da ciò che siamo e impariamo a restare, senza rigidirci, ma senza più deviare.

Non è solo una questione di ossa, né di muscoli. È un invito a riconoscere che la vera fermezza non è rigidità, ma un equilibrio vivo, capace di stare tra la terra e il cielo senza spezzarsi

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